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ΚAΛOΣ   ΧEIMONAΣ …

Lei

Oggi lei era bellissima. L’immagine matura della splendente bellezza della giovinezza.

Non ho mai percepito in modo così profondo la sua bellezza, per nulla banale, per nulla comune…una bellezza elegante, con un guizzo di stravaganza e mistero negli occhi. Una bellezza che la malattia distrugge, ma che anche fa emergere con chiarezza, per contrasto, quando se ne va.

Lei è bella, è parte della mia origine. Chissà se un po’ della sua bellezza vive in me…

ape maia

A chi raccontare ora le cronache dell’ape maia? A nessun’altro se non a te. Quindi mai più cronache. Le racconterò solo a me, le scriverò solo per me.

Ultima sera per quest’anno tra i profumi dei legni che lavoriamo.

Da questo momento per tutta l’estate, ognuno di noi, forse, continuerà solitario a far volare in aria schegge  e trucioli: chi in un angolo sottratto alle solite carte e arredi domestici, chi all’aperto in montagna, dove questi legni vivi sono di casa, chi ancora in un garage approntato a studio.

Ma vuoi mettere lavorare, tutti insieme, qui in laboratorio…

Come dice Davide “qui c’è la magia”.

Uscite didattiche

Uscite didattiche, le chiamano. In realtà uscite sono, didattiche pure, ma ludiche e goderecce ancora di più. Non importa se siano dei piccoli o dei grandi.

Sabato con i “piccoli” il momento sicuramente più entusiasmante (per loro) è stato il buffet, generosamente offerto dal questore.

Stamattina e in verità anche ieri pomeriggio, con i “grandi”, come non ricordare il fritto misto con la caraffa di prosecco, dopo le meraviglie della via Annia e lo spritz in piazza, dopo l’universo di Galileo

Osservo i miei compagni “Selvatici” , più che i professori: tutti molto eterogenei per età, aspetto, formazione, motivazioni e -adesso lo realizzo-tutti  un po’ stravaganti a modo loro.

Ecco, un gruppo-classe sgangherato…bizzarro. E ci sono dentro anch’io.

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Poggio pratone

Fruscii di velluto nero
in picchiata, radenti
ad acchiappare insetti

Ha un sorriso e una certa vitalità accattivanti, eppure di dolore-così mi hanno detto-ne ha vissuto molto ed è ancora, credo, recente.

Ha un’aria simpatica, gentile senza eccesso, attento quando ti parla come se non ci fosse altro in quel momento, eppure gli incontri sono stati limitati a qualche saluto, una stretta di mano, un appuntamento appena si potrà, per un caffè.

Non sappiamo nulla l’uno dell’altra, se non quel poco che si trasmette di parola in parola tra un cambio d’ora e la pausa in aula insegnanti.

E’ una bella persona; così sembra dalla forma, ma penso che sia anche sostanza. C’è una simpatia reciproca, da un lato credo per il senso di riconoscenza che traspare dal suo affetto per la scuola delle figlie, dall’altro perché un papà, e per giunta nemmeno di un mio alunno, lascia per me un caffè pagato e un grande sorriso.

…Ieri è stata calpestata, ignorata, maltrattata. Non hanno importanza i titoli accademici, la bella presenza, l’eloquio studiato, la buona educazione di famiglia…questa è forma senza sostanza se è vero che,  ieri, l’uomo senza dignità, senza onore e senza cuore, ha affidato alla freddezza di una pagina elettronica il calore fastidioso di un saluto, perché definitivo. Oppure questa è  forma che è anche sostanza. Fortunatamente il destino mi ha salvato da tale sostanza; in un altro momento la forma, senza sostanza, mi avrebbe ingannato.

“Il signor Ferdusi, che ha trascorso una vita a contatto con l’arte e la bellezza, guarda alla realtà circostante come a un film di serie B proiettato in un vecchio cinema pidocchioso. “E’ solo questione di gusto” mi dice. ”L’essenziale è aver gusto. Se un po’ più di gente avesse un po’ più di gusto, il mondo sarebbe diverso. Tutti gli orrori…come menzogna, tradimento, furto, delazione si possono invariabilmente raggruppare sotto un unico denominatore: cose del genere le fa chi manca di gusto”.
Si ricordi che quel che ha permesso ai persiani di restare persiani per duemilacinquecento anni, quello che ci ha permesso di restare noi stessi malgrado tante guerre, invasioni e occupazioni, è stata la nostra forza spirituale, non quella materiale; la nostra poesia, non la tecnica; la nostra religione, non le fabbriche. Che cosa abbiamo dato al mondo? La poesia, la miniatura e il tappeto. Come vede, tutte cose inutili dal punto di vista produttivo. Ma attraverso di esse ci siamo espressi. Abbiamo dato al mondo qualcosa che non ha reso la vita più facile, però l’ha abbellita, sempre che una distinzione abbia senso. Per noi, per esempio, il tappeto è un bisogno vitale. Lei srotola un tappeto in mezzo a un deserto ardente, ci si sdraia sopra e si sente come in un prato verde.
Un tappeto dura per sempre, un buon tappeto mantiene i colori per secoli e secoli. Quindi anche vivendo in un deserto spoglio e monotono, lei vive in un eterno giardino che non perde mai colori né freschezza. Può anche sbizzarrirsi a immaginare i profumi, il mormorio del ruscello, il canto degli uccelli. E allora si sente bene, si sente importante, più vicino al cielo: si sente un poeta”.
 

R. KAPUSCINSKI, Shah-in-Shah, 1982

 

Quasi quasi domani mi regalo un mazzo di fiori, niente di più inutile per certi versi o, per altri, fondamentale pane per l’anima. Gattogino annuisce.